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Per tutti coloro nati agli inizi degli anni ‘90 era abitudine vedere in tv cartoni animati ambientati nel futuro, come ad esempio “Futurama”, nel quale era facile osservare navette spaziali parlanti (come la Planet Express ad esempio, la stessa utilizzata dai protagonisti per effettuare spostamenti interstellari), alieni e robot che coabitavano insieme agli essere umani, animali geneticamente modificati, ecc..in una realtà futurista ed in parte virtuale.

In questo caso è anche facile osservare lo stile “estremo” tipico di un ambiente Statunitense, ovvero tutto molto “troppo in grande”.

Ovviamente si trattava di un cartoon.

 

 

Ma parliamo invece dell’attualità.

Con l’ingresso di grandi colossi presenti sul mercato nel mondo Metaverso, le cose stanno cambiando.

Vivere il virtuale è un fattore che incuriosisce da un lato e dall’altro spaventa. 

Perchè?

Innanzitutto l’idea di trasformare il proprio aspetto carnale, tangibile e percepibile dai nostri sensi in un avatar modificabile a proprio piacimento, intriga. 

Il concetto di trascendenza umana, di materializzazione e di smaterializzazione del corpo è senza ombra di dubbio qualcosa di affascinante. 

Dall’altro lato, siamo davvero sicuri che il metaverso rappresenta e rappresenterà il luogo di sicurezza nel quale gli utenti troveranno la loro dimensione?

Quali saranno le conseguenze che l’essere umano, a livello sociale, a livello di gruppo sociale, andrà in contro? 

Il costrutto di una realtà virtuale e di uno spazio di movimento virtuale trova le sue origini nei social network, strumenti di comunicazione nati con scopi ben precisi e che, a seguito di un utilizzo eccessivo, usati con scopi diversi.

Se da un lato il social può rappresentare il luogo sicuro di chi è timido, non ha il coraggio di esporsi, ha una bassa autostima, ecc, dall’altro, può essere usato da coloro che hanno voglia di distruggere: distruggere le persone, le loro reputazioni, il loro stato emotivo, insomma, i così chiamati haters e/o leoni da tastiera.

Inoltre, quali tipi di valori continuano a diffondere ed a comunicare i social ai giovani?

Prendiamo Instagram ad esempio: offre la possibilità di APPARIRE perfetti; esatto, la perfezione della bellezza estetica è ricercata nella stra gran maggioranza degli utenti (specialmente giovani).

 

 

 

Si viene catturati dall’algoritmo stesso che, in modo irrefrenabile, ci spinge a controllare quanti like riceviamo, quante visualizzazioni alle nostre storie raggiungiamo, chi ha commentato, che cosa ha scritto, e via dicendo…

Il bombardamento mediatico di modelli ispiratori di perfezione e bellezza estetica riguardano principalmente i nostri giovani, che vogliono raggiungere ed imitare influencer, per raggiungere la loro fama ed il loro successo.

Più sei bello, più sei perfetto, più sei accettato e seguito: questo è l’algoritmo mentale dei giovani di oggi, ed è completamente negativo e sbagliato.

L’uso improprio di qualsiasi strumento può compromettere davvero seri problemi alla vita delle persone, figuriamoci dei giovani soprattutto in età adolescenziale; quanti sono stati i casi di giovani che hanno accettato sfide estreme vivendo il loro corpo con disagio e vergogna?!

I social, se mal usati, portano i valori umani negativi, quali l’invidia, la rabbia, la gelosia, ad aumentare a livelli esponenziali, compromettendo le relazioni sociali. 

Allo stesso tempo però, se usati con coscienza, sono ottimi strumenti di collaborazione, unione (anche se spesso uniscono persone distanti fisicamente tra loro, ma allo stesso tempo rappresentano il ponte tra queste persone), integrazione sociale. ricerca della propria identità (grazie a gruppi di interessi attraverso i quali è possibile poter scambiare opinioni e punti di vista costruttivi).

La diffusione di prototipi e modelli di bellezza fisica da seguire e da imitare trovano spazio dove ci sono due mancanze precise: l’autostima e la mancanza di una propria identità.

Entrare a far parte del Metaverso è sicuramente un’innovazione che segna la storia dei tempi, ma bisogna farlo con seguendo valori etici ed equilibrio, senza lasciarsi “mangiare” completamente dalla novità di quel mondo, un mondo che rimane comunque virtuale, NON fisico!

Il metaverso sarà per tutti un’occasione, un’opportunità, non un rischio, limitando al massimo tutte le conseguenze che socialmente rappresenteranno un pericolo per ciascun individuo.

 

 

Questo articolo è volto a presentare in maniera generica le tappe che, nel mondo dell’informatica, hanno portato alla containerizzazione dei servizi e, di conseguenza, a Kubernetes.

Innanzitutto è bene definire Kubernetes come una piattaforma open-source utilizzata per la gestione di servizi containerizzati che facilita da un lato la configurazione dichiarativa di questi e, dall’altro, l’intero processo di automazione.

Kubernetes è una piattaforma estensibile, dotata di un grande e vasto ecosistema in esponenziale crescita: tutto il supporto, gli strumenti ed i servizi sono disponibili all’interno di questo mondo.

Prima di parlare delle fasi che hanno portato all’ideazione di Kubernetes, spieghiamo l’origine del nome; Kubernetes è un termine che deriva dal greco e vuol dire pilota; la piattaforma è stata resa open source da Google nel 2014 ed unisce una pluridecennale esperienza nell’esperienza di carichi di lavoro di produzione su scala mondiale, grazie all’utilizzo delle migliori idee e pratiche della comunità.

Perché Kubernetes è diventata così utile oggigiorno?
STEP BY STEP developers!, Dividiamo la sua evoluzione in 3 fasi principali:

1. Fase del deployment classico/tradizionale: le applicazioni usate dalle organizzazioni, erano eseguite su server fisici; di conseguenza non c’era il modo di definire eventuali limiti delle risorse!
Questo comportò nel tempo molti problemi in termine di allocazione delle risorse.
Per quale motivo???
Dunque, immaginate che un numero elevato di applicazioni vengano eseguite sullo stesso server fisico; ci potrebbe essere la possibilità che una di queste (in particolare) possa assorbire maggiori risorse, togliendo alle restanti applicazioni la possibilità di offrire le prestazioni attesa.
La soluzione sarebbe quindi quella di eseguire ogni applicazione su server fisico, ma DIVERSO!
La conseguenza sarebbe un aumento dei costi per le organizzazioni (più software fisici presenti da mantenere —>più costi ingenti da sostenere) ed un sottoutilizzo delle risorse!

2. Fase della virtualizzazione del deployment: ecco che, per far fronte al problema di cui sopra abbiamo accennato, entrò in gioco la virtualizzazione.
Si presentò da subito come una buona soluzione che permise di eseguire più macchine virtuali (le VM) su una singola CPU fisica.
Di conseguenza, il beneficio fu quello di isolare le applicazioni su più macchine virtuali, fornendo così un livello di sicurezza nettamente superiore, dal momento in cui le informazioni di un’applicazione non sono accessibili da un’altra applicazione.
Quali sono stati altri benefici che la virtualizzazione ha portato?
Migliore utilizzo delle risorse con riduzione dei costi per hardware
Migliore scalabilità
Ogni VM rappresenta una macchina completa che esegue tutti i componenti (compreso il proprio sistema operativo).

3. La fase del deployment containerizzato: first of all, è bene definire il concetto di container, ovvero: i container sono molto simili alle macchine virtuali ma dispongono di un modello di isolamento più leggero e condividono il sistema operativo (OS) tra tutte le applicazioni.
Ecco perché i container sono considerati leggeri ed, inoltre, sono disaccoppiati dall’infrastruttura sottostante, risultando portabili tra diversi cloud e varie distribuzioni.

Perché i container nel tempo hanno raggiunto popolarità?
Ovviamente per i loro vantaggi, quali ad esempio:

1. Creazione e distribuzione di applicazioni in modalità Agile: si ha maggiore facilità e maggiore efficienza nella creazione di immagini containerizzata rispetto a quelle VM;

2.Utilizzo di pratiche per lo sviluppo/test/rilascio continuativo: grazie a ciò è possibile creare e distribuire container image con un alto livello di affidabilità, offrendo allo stesso tempo la possibilità di effettuare rollback veloci e semplici (grazie al fatto che l’immagine rimane la stessa e non cambia);

3. Dev ed Ops SEPARATI: tutte le container image sono prodotte nel momento in cui avviene la compilazione dell’applicativo piuttosto e non nel momento di rilascio; questo fa sì che si presenta un disaccoppiamento tra le applicazioni dell’infrastruttura sottostante.

4. Parola d’ordine? COERENZA: esatto, perché tra i diversi ambienti (sviluppo, test e produzione), c’è coerenza ed i container funzionano allo stesso modo, sia su un pc portatile, sia sul cloud.

5. Portabilità tra cloud e sistemi operativi diversi: il medesimo container funziona su Ubuntu, RHEL, CoreOS, on-premise.

6. Libertà di combinazione dei microservizi: i microservizi sono liberamente combinabili e liberamente distribuiti con un’elevata scalabilità: tutte le app sono divise in parti più piccole ed indipendenti tra loro che possono essere gestite in maniera dinamica (no ad eventuali stack monolitici che girano su una singola grande macchina).

7. Risorse isolate: tutte le prestazioni delle app sono facilmente prevedibili;

8. Uso delle risorse: i container garantiscono efficienza e densità.

Ma perché è bene usare Kubernetes?

I container rappresentano un ottimo modo per la distribuzione e l’esecuzioni delle applicazioni.
All’interno di un ambiente di produzione, ad esempio, è prioritario gestire container che eseguono applicazioni garantendo l’assenza di interruzioni di servizi.
Pensate alla situazioni in cui un container si interrompe e bisogna avviarne un altro.
Tutto sarebbe più facile se fosse gestito SOLO da un sistema, giusto?

ECCO! E’ per questo che Kubernetes entra in gioco.
Kubernetes fornisce un framework per il funzionamento dei sistemi che vengono distribuiti in modo resiliente ed, inoltre, si occupa di garantire scalabilità, distribuzione e failover.

Kubernetes è fonte di vantaggi e benefici, come ad esempio:
1. Usando Kubernetes si ha la possibilità di esporre un container usando un DNS o l’indirizzo IP (qualora il traffico diretto ad un container fosse alto, Kubernetes interviene distribuendo il traffico su più container garantendo stabilità a tutto il sistema);

2. Storage Orchestrato: grazie a Kubernetes si ha la possibilità di montare in maniera automatica un sistema di archiviazione a scelta: che sia locale, con dischi forniti da public cloud, ecc

3. Rollout e rollback automatizzati: Kubernetes è in grado di cambiare lo stato attuale dei propri container per raggiungere quello che si desidera con una velocità controllata.
Se, ad esempio, il tuo team IT sta creando nuovi container per alcuni tuoi servizi, Kubernetes permette di rimuovere i container già esistenti, adattandoli alle risorse che vengono richieste da quelli nuovi.

Kubernetes è dotato di un sistema intelligente di Self-Healing, in grado di sostituire i container che si bloccano e di terminare quelli che non rispondono agli health checks, evitando di fare arrivare traffico ai container che non sono in grado di rispondere correttamente.

La privacy è importante: Kubernetes consente di memorizzare e di gestire le informazioni sensibili come token OAuth, password,….
Inoltre, è possibile distribuire ed aggiornare le informazioni sensibili configurando le applicazioni senza dover ricostruire le immagini dei container evitando quindi di svelare le informazioni sensibili nel momento di configurazione del sistema.
Se vuoi anche tu passare a Kubernetes, contattaci!
Saremo lieti di aiutarti e di guidarti passo dopo passo in questa tua scelta.